Soglie - Alessandro Costanzo e Davide Serpetti 

2022 | Lorenzo Madaro


In una fase storica e sociale in cui i confini sono disgraziatamente ancora intralci della geopolitica e di altre complesse sfaccettature della realtà (e del suo immaginario), il concetto di soglia rimane di stringente urgenza per le riflessioni sul presente anche da parte degli artisti. La storia dell’arte ci ha consegnato dei fondamentali sviluppi sul dibattito che persiste circa il superamento della soglia della pittura o della scultura, quindi a proposito del superamento della cornice o del piedistallo, che da oltre un secolo appassiona chi si occupa di questi specifici linguaggi. Nel mentre la filosofia ha definito quanto il mito sia spesso fondato proprio sulla soglia intesa come confine, ovvero come divisione (il mito biblico per esempio ci riporta alla divisione del cielo dalla terra), che poi è parte integrante delle nostre valutazioni quotidiane. La storia ci pone invece esempi come la vicenda di Cesare e del Rubicone o i confini tra le terre e le riserve.

Ma la soglia, a pensarci bene, appartiene anzitutto alla vita e quindi al nostro stesso agire collettivo. Oggi la soglia sta a significare un limite che non si può oltraggiare, che non consente di muoversi con disinvolta libertà tra due nuclei distinti. L’arte però ha questo potere, quello di escogitare piani di fuga, di consentire agli artisti forme serrate di dialogo. È quanto accade con questa doppia personale di Alessandro Costanzo e Davide Serpetti. Per entrambi la soglia rappresenta qualcosa di diverso, che ricercano con medium differenti ma con affinità imprevedibili che questo progetto espositivo da Manuel Zoia Gallery è in grado di fare affiorare. La scultura e l’installazione l’uno; la pittura l’altro. Se per Costanzo la soglia è un discorso sulla scultura che rintraccia nella forma la ricerca delle proprie radici formali, dei propri codici genetici e linguistici ogni volta da ripensare e superare; per Serpetti è un codice iconografico, ispirato dall’osservazione ravvicinata di una scultura leonina della Dinastia Ming (1368–1644) rintracciata in un suo pellegrinaggio al Metropolitan di New York.

Non è la prima volta che Serpetti riflette sulla forma plastica della scultura – in passato l’ha già fatto guardando, ad esempio, a Medardo Rosso – e neppure su quella degli animali, che – racconta – “Nelle mie opere rappresentano sempre una personificazione: inserisco sempre una piccola parte di me in essi. Se il ritratto è l’emotività, la figura animale ne è l’eccesso”. Sono corpi animali stilofori, come quelli delle cattedrali medievali, rappresentano proprio la soglia, lo spazio di transito tra il mondo umano e quello divino, tra lo spazio delle cose terrene e quello della divinità. D’altronde anche le colonne dei templi antichi assolvono a una funzione similare. La pittura di Serpetti si fa densa, i colori fluo sono parte integrante di un discorso che pensa alla pittura come a uno spazio della narrazione, non soltanto della rappresentazione. Ma è anche un pretesto per fare pittura, per strutturare un pensiero sul linguaggio stesso. Oltre all’attenzione per la forma, è questo il punto che accomuna i due artisti.

Per Costanzo la dimensione del fare coincide con l’esplorazione dei confini del lessico scultoreo che di volta in volta vengono reinventati. Accade con i Deserti, brandelli di ovatta incastonati dentro telai reticolari; anch’essi sono soglie, spazi di mediazione tra due dimensioni, luoghi da investigare con cura perché evidenziano una dimensione altra, misteriosa, altera. L’ovatta sta a indicare la capacità della scultura di essere mutante, di estraniarsi da un confine (che è poi quello della rete metallica), di tentare nuove vie, ulteriori forme da comporre e ricomporre.  


Accade anche con i lavori realizzati inserendo le sculture di ceramica con le luminarie nelle nasse da pesca, anch’esse forme parte integrante di un immaginario legato al folclore e alle radici primarie della sua terra, Catania. Diventano così spazi nuovi, che si relazionano tra loro ampliando il raggio della propria azione. E le trappole per animali diventano porzioni di materia ma anche luoghi intermedi di un tempo sospeso, quello dell’eventuale ingresso un istante prima della loro fine. È ancora una volta la soglia, quella primaria, quella che divide lo spazio della vita con quello della sua stessa negazione.

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