Small Zine - Osservare il liminale - intervista ad Alessandro Costanzo

2023 | Davide Silvioli - Small Zine n.47 



Nel lavoro di Alessandro Costanzo la convenzione che determina il rapporto ordinario tra le cose sfuma, squalificando ogni relazione gerarchica di soggetto e predicato. Nella sua pratica la possibilità di risalire a un legame di prima e di dopo viene annullata, aprendo l’interpretazione a direzioni di senso tanto liminali quanto complesse. L’artista, sperimentando principalmente l’installazione, utilizza una diversità di media, di volta in volta impiegati per rispondere a un’interrogazione sensibile ai concetti di luogo, memoria, identità, tempo.

DS: Quali sono le questioni, i fattori, i fenomeni o il sentire che, attraverso il tuo lavoro, tendi principalmente a tematizzare?

AC: Le questioni di base del mio lavoro partono spesso da riflessioni di carattere antropologico e sociologico. Ho affrontato diverse volte il tema della soglia, come confine concettuale e politico. In lavori come “Incursione”, “Stalli” e in parte anche nei “Deserti”, mi interessa approfondire le delimitazioni perimetrali, la zona limite fra un dentro e un fuori, fra un inizio e una fine, fra un confine culturale e un altro. Ciò trova riscontro nell’utilizzo frequente di materiali forati, permeabili, attraversabili dall’aria.
Credo che ognuno di noi sviluppi delle maglie più o meno fitte, dei gusci concentrici che stabiliscono una distanza prossemica mutevole. Spesso i miei lavori diventano dei veri “strumenti esosomatici” (Carlo Sini) per misurare tali distanze.

DS: Quale peso, generalmente, riveste il tempo, a livello di esperienza sia concreta che concettuale, nel tuo mo- dus operandi?

AC: La questione legata al tempo è un ulteriore punto che ho provato ad affrontare.
Nel ciclo “Deserti” e in “Allegoria del giorno”, ad esempio, mi interessa registrare nella scultura informazioni e dati che appartengono ad un trascorso giornaliero, ai rituali quotidiani, nel tentativo di decifrare la “metrica” di alcune nostre abitudini.
Viviamo in un’epoca dove le nuove generazioni sono ossessionate dall’ascesa capitalistica, di conseguenza il tempo viene investito principalmente nel tentare di raggiungere tali mete; inoltre ogni intermezzo temporale viene colmato quasi esclusivamente dai social che svolgono la funzione di sedativi, e da una quantità infinita di tecnologie e oggetti che atrofizzano alcune caratteristiche dell’uomo e necessità primordiali. Nel mio lavoro tento in qualche modo di riconquistare questi intervalli, inglobandoli in una dimensione materica e citando tali estremi nel titolo o nelle dimensioni di alcuni lavori.

DS: Nell’insieme del tuo operato, si assiste al ricorso a una pluralità di materiali, soluzioni e tecniche. A cosa è dovuta tanta eterogeneità?

AC: Dopo una prima intensa fase di sperimentazione legata al disegno e alla pittura, a orientare la mia ricerca verso la scultura e l’installazione è stata un’esposizione massiccia e persistente ai materiali edili e industriali che ho osservato per anni nell’azienda di famiglia.
Questo vivere fra magazzini e depositi pieni dei materiali più disparati ha influenzato inevitabilmente le modalità di sviluppo del mio lavoro. Ci sono materiali che tornano spesso quasi come delle costanti, mentre altri sono essenziali solo in alcuni casi. Mi interessano molto, inoltre, gli oggetti che conservano una funzione espropriatoria, bellica, materiali che conservano una sorta di “prepotenza umana”.
Ultimamente però la ceramica è diventata centrale nello sviluppo di alcune nuove idee, dove avverto la necessità di riconquistare un contatto diretto con la materia.
Credo che questo approccio eterogeneo sia necessario per poter espandere i confini della mia ricerca, a volte un’idea ha bisogno di essere ripetuta in loop mentre altre volte si manifesta chiaramente come “singola voce”.

DS: Verso quali direzioni, attualmente, ti sta conducendo la sperimentazione?

AC: Ultimamente studio i testi di Stiegler e di Anders sul rapporto fra uomo e macchina, e su come l’automazione ci renda sempre meno uomini.
Questa iper-stimolazione sensoriale che ci investe sempre in più campi, queste continue facilitazioni e la dipendenza dall’iper-connessione, non fanno altro che allontanarci dalla nostra natura originaria.
Recentemente lavoro a una nuova serie di sculture in ceramica partendo da gusci di gasteropodi con l’intenzione di sviluppare nuove specie, cloni tratti da pattern e matrici che individuo in gusci di conchiglie, squame e pelli animali, riconsiderandone i confini fisici e concettuali. Questo progetto anticipa un discorso più ampio sui processi di antropizzazione di cui siamo vittime, e sul come le intelligenze artificiali agiscano, attraverso modelli sempre più precisi pescati da una mole di dati web in continua crescita.
Secondo la teoria dell’evoluzione di Darwin, ogni specie si evolve a partire da piccoli errori genetici, quindi da piccoli processi di adattamento non solo alle condizioni climatiche o ambientali, ma anche, come osserva l’epigenetica, da influenze e abitudini che vengono trasferite geneticamente di generazione in generazione.


Small Zine n.47, luglio, agosto, settembre 2023 ︎
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©️ 2019—2023  Alessandro Costanzo 
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