La quadriennale di Roma, progetto Panorama.
Studio-visit 2.0 ad Alessandro Costanzo
Ho voluto incontrare Alessandro Costanzo il giorno prima della sua personale Hey Siri per On the Contemporary, spazio catanese che dentro Palazzo Manganelli si occupa delle ultime tendenze del contemporaneo. Mi attrae l’aspetto formale ed estetico che, nel primo studio visit a lui dedicato da Marcello Francolini, rimane sulla soglia delle associazioni linguistiche e della pratica correlativa. Mi sembra altresì importante ripartire dall’affermazione di Francolini: «l’opera misura il tempo di sosta del lavoro più̀ che il lavoro in sé». Dopo la conversazione con Costanzo avrei potuto dire: «Hey Siri, mi cerchi… oppure, meglio, ChatGPT puoi scrivere uno studio visit su Alessandro Costanzo?» Queste, l’alfa e l’omega del nostro incontro.
Costanzo punta l’attenzione sul rapporto uomo-tecnologia. In una direzione tenta di umanizzare la macchina, l’oggetto e il dispositivo e, in un’altra, sottolinea il tempo frenetico e ridicolo in cui tutti ci troviamo immersi. La scultura segue un modulo, le macchine hanno un rapporto osmotico con l’ambiente, hanno bisogno anch’esse di respirare tramite grate che sono segni e vuoto sul metallo. Feritoie? Sì, bocche aperte su lastre zincate, non objet trouvé, ma elemento scultoreo opportunamente forgiato da fogli metallici industriali che rincontrano la presenza del quadro e della pittura. Non è forse questa la forma minima che persiste nel mondo che abitiamo, tra giardini ricondizionati, open space e marchingegni che lavorano per noi? Aggiungerei, tra una pausa e l’altra di iperattività comunicativa e digitale.
L’elemento formale della serie Sospesi (2023)è connesso alla ricerca concettuale internazionale, mi ricordo di Index 001 di Art&Language, nel quale il collettivo fondato da Atkinson, Bainbridge, Baldwin e Hurrel puntava al freddo rigore di schedari metallici per unire arte, teoria e didattica. Vedo anche un collegamento con l’ironia amara di Pino Pascali e le sue finte sculture, cito Baco da setola per tutte. Alessandro Costanzo mutua l’aspetto dell’involucro-macchina dalla realtà e la rimodella a partire da un’unità minima siderurgica, il foulard è appeso lì, il sigaro e gli scontrini sono lasciati o poggiati durante un processo di geografia personale e quotidiana.
La produzione dei lavori rivela una specifica pratica meditativa, l’artista è estremamente interessato al tempo fermo, sottratto ad alcune declinazioni di frenesia e alla comunicazione sempre più depersonalizzata di assistenti digitali o declinata da varie A.I., fino all’incursione nello spazio da parte di oggetti che, occupando lo stesso spazio, emanano racconti di un accaduto, quel fatto di cronaca, di costume o di cultura che consuma il tempo di una notizia, poi diventa capitolo di una storia e potenzialmente appare come dominio pubblico. Fuoco di paglia, lavoro del 2023, si presenta come sinottico assemblaggio di lamiera zincata, giubbotti e aste in vetroresina, un bivacco tra uomo e congegno, un paragrafo aperto al fruitore capace di arrivare fino alla sintesi di un fatto notturno, di una simbiosi all’aperto.
In questa fase, credo che Alessandro Costanzo stia conquistando riflessioni sul ritorno dell’uomo al tempo naturale. Discutendo animatamente sulle conseguenze delle chat generative e dell’uso crescente di protesi creative, ho la sensazione che sul tavolo ci sia uno sguardo consapevole che percepisce l’emergenza culturale e su di essa vuole intervenire con il lavoro artistico. Ho sentito, infatti, l’interesse verso quel rumore di fondo che la società produce continuamente, fascinazione diretta da molte pagine de L’intervallo perduto di Gillo Dorfles. Contaminato/incontaminato potrebbe essere l’equilibrio dei suoi attuali pensieri e traccia di nuovi lavori che dalla parete scendono dentro lo spazio, sempre più ambiente scultoreo e installativo.
La produzione attuale si poggia sulla certezza di un modulo formale che materializza un confine e una pelle. È latente il rischio di accomodarsi in quello che funziona, nella forma che si ripete perché stabile ed esteticamente autonoma, questo è l’inganno in agguato nel lavoro di Costanzo, un tranello da tenere in considerazione quando, ad esempio, il mercato inizia a farsi pressante.
Nonostante l’approccio sottrattivo e minimalista, l’artista riesce a creare scenari mentali, associazioni e sintesi a partire dal bagaglio culturale dell’osservatore, chiunque esso sia. Ogni opera innesca un punto interrogativo sintatticamente semplice e universale, come il linguaggio dell’arte prova costantemente a essere tra la difficoltà dell’autonomia e il valore della sintesi sulla storia e sulla cultura dei decenni che intanto passano.
Studio-visit 2.0 ad Alessandro Costanzo
2024 | Francesco Lucifora
Ho voluto incontrare Alessandro Costanzo il giorno prima della sua personale Hey Siri per On the Contemporary, spazio catanese che dentro Palazzo Manganelli si occupa delle ultime tendenze del contemporaneo. Mi attrae l’aspetto formale ed estetico che, nel primo studio visit a lui dedicato da Marcello Francolini, rimane sulla soglia delle associazioni linguistiche e della pratica correlativa. Mi sembra altresì importante ripartire dall’affermazione di Francolini: «l’opera misura il tempo di sosta del lavoro più̀ che il lavoro in sé». Dopo la conversazione con Costanzo avrei potuto dire: «Hey Siri, mi cerchi… oppure, meglio, ChatGPT puoi scrivere uno studio visit su Alessandro Costanzo?» Queste, l’alfa e l’omega del nostro incontro.
Costanzo punta l’attenzione sul rapporto uomo-tecnologia. In una direzione tenta di umanizzare la macchina, l’oggetto e il dispositivo e, in un’altra, sottolinea il tempo frenetico e ridicolo in cui tutti ci troviamo immersi. La scultura segue un modulo, le macchine hanno un rapporto osmotico con l’ambiente, hanno bisogno anch’esse di respirare tramite grate che sono segni e vuoto sul metallo. Feritoie? Sì, bocche aperte su lastre zincate, non objet trouvé, ma elemento scultoreo opportunamente forgiato da fogli metallici industriali che rincontrano la presenza del quadro e della pittura. Non è forse questa la forma minima che persiste nel mondo che abitiamo, tra giardini ricondizionati, open space e marchingegni che lavorano per noi? Aggiungerei, tra una pausa e l’altra di iperattività comunicativa e digitale.
L’elemento formale della serie Sospesi (2023)è connesso alla ricerca concettuale internazionale, mi ricordo di Index 001 di Art&Language, nel quale il collettivo fondato da Atkinson, Bainbridge, Baldwin e Hurrel puntava al freddo rigore di schedari metallici per unire arte, teoria e didattica. Vedo anche un collegamento con l’ironia amara di Pino Pascali e le sue finte sculture, cito Baco da setola per tutte. Alessandro Costanzo mutua l’aspetto dell’involucro-macchina dalla realtà e la rimodella a partire da un’unità minima siderurgica, il foulard è appeso lì, il sigaro e gli scontrini sono lasciati o poggiati durante un processo di geografia personale e quotidiana.
La produzione dei lavori rivela una specifica pratica meditativa, l’artista è estremamente interessato al tempo fermo, sottratto ad alcune declinazioni di frenesia e alla comunicazione sempre più depersonalizzata di assistenti digitali o declinata da varie A.I., fino all’incursione nello spazio da parte di oggetti che, occupando lo stesso spazio, emanano racconti di un accaduto, quel fatto di cronaca, di costume o di cultura che consuma il tempo di una notizia, poi diventa capitolo di una storia e potenzialmente appare come dominio pubblico. Fuoco di paglia, lavoro del 2023, si presenta come sinottico assemblaggio di lamiera zincata, giubbotti e aste in vetroresina, un bivacco tra uomo e congegno, un paragrafo aperto al fruitore capace di arrivare fino alla sintesi di un fatto notturno, di una simbiosi all’aperto.
In questa fase, credo che Alessandro Costanzo stia conquistando riflessioni sul ritorno dell’uomo al tempo naturale. Discutendo animatamente sulle conseguenze delle chat generative e dell’uso crescente di protesi creative, ho la sensazione che sul tavolo ci sia uno sguardo consapevole che percepisce l’emergenza culturale e su di essa vuole intervenire con il lavoro artistico. Ho sentito, infatti, l’interesse verso quel rumore di fondo che la società produce continuamente, fascinazione diretta da molte pagine de L’intervallo perduto di Gillo Dorfles. Contaminato/incontaminato potrebbe essere l’equilibrio dei suoi attuali pensieri e traccia di nuovi lavori che dalla parete scendono dentro lo spazio, sempre più ambiente scultoreo e installativo.
La produzione attuale si poggia sulla certezza di un modulo formale che materializza un confine e una pelle. È latente il rischio di accomodarsi in quello che funziona, nella forma che si ripete perché stabile ed esteticamente autonoma, questo è l’inganno in agguato nel lavoro di Costanzo, un tranello da tenere in considerazione quando, ad esempio, il mercato inizia a farsi pressante.
Nonostante l’approccio sottrattivo e minimalista, l’artista riesce a creare scenari mentali, associazioni e sintesi a partire dal bagaglio culturale dell’osservatore, chiunque esso sia. Ogni opera innesca un punto interrogativo sintatticamente semplice e universale, come il linguaggio dell’arte prova costantemente a essere tra la difficoltà dell’autonomia e il valore della sintesi sulla storia e sulla cultura dei decenni che intanto passano.
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