DISCONTINUO an open studio #4
Intervista ad Alessandro Costanzo e a Roberta Gennaro

2021 | Alessandra Tomasello


Il rito e il rituale, il sacro e il desacralizzato sono il nucleo semantico dei lavori di Alessandro Costanzo e di Roberta Gennaro, entrambi siciliani, che hanno interpretato il corso della residenza secondo logiche introspettive, benché con risultati molto diversi.
 
L’indagine di Alessandro Costanzo, invitato espressamente dal collettivo per l’attenzione che viene riservata alla ricerca contemporanea del territorio, si esemplifica nella coesistenza dell’operazione duale di meticolosa e sistematica progettazione congiunta ad una successiva disgregazione dell’immagine, ridotta in frammento e plasmata in forma scultorea che prende le sembianze di sezioni di luminarie. Distanziandosi dall’ottica del produrre ordinario regolato dal periodo di residenza, Alessandro compie una celebrazione del suo fare e del suo esserci mediante il bilanciamento dei tempi pieni e vuoti della meditazione che conduce nell’alternanza delle giornate, generando un’interferenza nel fluire degli eventi.
Dopo avere sottoposto il corpo come tramite dell’azione del tempo sulla materia, giungendo così ad esiti di matrice auto performativa, l’artista trasferisce il riferimento del suo vissuto ed elogia l’Allegoria del giorno.
 
Durante il periodo di permanenza, hai sperimentato il risiedere nel luogo come considerazione del tuo agire sul contesto. Qual è stata l’evoluzione del tuo pensiero inteso in senso processuale?

Durante la residenza mi sono focalizzato esclusivamente sull’amplificazione di un’azione rituale, estraniandomi in qualche modo dal contesto geografico locale.
La riflessione è partita inizialmente dalle stesse modalità che una residenza d’artista impone: un luogo e un tempo specifico. Questo vivere e sviluppare un pensiero nella brevità di un contesto è stato il cardine che mi ha spinto a produrre un’azione circolare sulla consuetudine dell’agire umano.
In maniera quasi tautologica, il tentativo è quello di celebrare il giorno stesso nella consapevolezza di appartenere alla transitorietà del mondo; registrare quel peso, inglobarlo nella materia, edificarne un piccolo monumento per assimilare quella “verità” gravitazionale, a cui il nostro peso è soggetto quotidianamente.
 
La desacralizzazione del simbolo liturgico, la luminaria, viene riconosciuto come atto fondatore di un paradigma materico-concettuale che richiama il tuo precedente lavoro site-specific Indagine sulla curvatura. Le porzioni dell’oggetto qui però incarnano protesi di te stesso traducendosi in simboli autocelebrativi e fai uso di un materiale per te insolito, la ceramica. Come ti sei relazionato con essa rispetto alla trasposizione della tua riflessione?

La ceramica, in quanto nella sua prima fase è creta, si presta all’atto costruttivo. L’aggiungere materia per definire la luminaria diventa fondamento del rituale auto-celebrativo, mentre perderne una parte in fase di cottura esaspera nella sua contraddizione il processo e diventa la testimonianza di un evento, di un passaggio.
Come anticipi tu, ho già approfondito questo oggetto, cerco forse di “appropriarmi” della sua attitudine, prendo in prestito la sua carica simbolica per declinarla verso altre direzioni.
Progettare e disegnare grandi luminarie, durante quei giorni, è diventato così il pretesto per impegnare il tempo in una pratica “festosta”.
Ho immaginato questi elementi ingombranti, fuori portata, e ne ho realizzato soltanto una parte, quella parte che attesta il tempo utile che il giorno riserba al fare. Quel peso diventa la testimonianza di un transito, della variazione costante della mia massa sul mondo, un estratto di tempo fossilizzato.


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©️ 2019—2023  Alessandro Costanzo 
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